Anche per questo il sunsplash dà fastidio

martedì 3 novembre 2009

Influenza

Ho solo una veloce domanda da porre ai giornalisti. Avete veramente intenzione di scrivere ogni giorno quante persone prendono l'influenza e quante si suppone siano morte a causa dell'influenza per poi magari ritrattare il giorno dopo in un trafiletto?

sabato 31 ottobre 2009

Videocrazia



L'esilio per i non conformi



Chi c'è stato non può non averlo amato, chi non c'è stato forse ne ha sentito parlare. Il Sunsplash è il più grande festival reggae europeo, ma soprattutto è uno spazio di incontro in mezzo alla natura per più di 150 mila persona provenienti da diverse parti del mondo. Vi diranno che verrà chiuso per le droghe, ma se fosse così dovrebbe essere chiusa qualunque discoteca; vi diranno che verrà chiuso perchè all'interno si trovano molti "immigrati clandestini", ma la verità è che all'eliminazione di questo problema (problema per loro) hanno già provveduto obbligando alla registrazione del proprio documento d'identità per ogni partecipante, una schedatura in pratica; vi diranno che verrà chiuso per l'impatto sull'ambiente ma la verità è che per tutto l'anno il Parco del Rivellino di Osoppo in provincia di Udine, viene curato e pulito e che la gente che vi abita non ha nessun problema a riguardo; quello che non vi diranno è che verrà fatto chiudere perchè al suo interno oltre ad ascoltare musica si svolgono vari eventi culturali che danno fastidio; quello che non vi diranno è che, nonostante un'inevitabile commercializzazione, al suo interno si ritrovano persone che vivono la vita secondo una morale diversa da quella omologata e omologante, persone che parlano, scambiano e pensano in una maniera che dà fastidio; quello che non vi diranno è che verrà chiuso perchè in questo paese l'unica alternativa sta diventando l'esilio ed è quello che probabilmente succederà al Sunsplash stesso e a tutti coloro che annualmente lo abitano.

venerdì 9 ottobre 2009

venerdì 2 ottobre 2009

sabato 19 settembre 2009

Salviamo il Rototom Sunsplash

Da ormai 7 anni ogni estate la prima settimana di luglio si svolge quello che è il più grande festival di musica Reggae in Europa, credo il secondo nel mondo dopo dopo il Sundance Jamaicano. Nelle ultime edizione più di 150.000 persone si sono ritrovate in tenda a campeggiare all'interno del Parco del Rivellino, in località Osoppo, provincia di Udine. Non è solo un festival musicale è anche luogo di incontro, incontro fra culture, un luogo di informazione e controinformazione. E' una grande attrazione turistica e produce importanti ritorni economici. Non c'è mai stato nulla di rilevante che possa portare a dire che rappresenti un rischio per la sicurezza pubblica eppure pressioni politiche stanno spingendo verso la chiusura del Sunsplash. Perchè? 3 sono secondo me i motivi. Persone che provengono da altri paesi senza permesso di soggiorno, la ganja, l'incontro fra persone. Il primo è un motivo sentitissimo soprattutto negli ultimi due anni, che però era stato "risolto" con l'obbligo di consegnare i documenti e farsi registrare all'acquisto del biglietto. Chi era privo di documento non entrava. Già questo fatto aveva fatto storcere il naso ai più, perchè non era più in linea con i valori che per anni avevano contraddistinto la manifestazione. Il secondo motivo riguarda lo spaccio di erba e affini ed anche il fumarla, entrambi reati grazie alla legge Fini-Giovanardi. Siccome il nesso logico reggae-fumo è molto forte nell'immaginario, a ragione in molti casi, l'aumento dei controlli anche in borghese viene così giustificato. Il terzo motivo è il vero motivo, l'unico. Un governo fascista e razzista non può permettere che possa esistere uno spazio di aggregazione libero dall'informazione di massa, nel quale si ritrovano persone, giovani ma non solo, che intuiscano una morale, uno stile di vita diverso da quello dell'omologazione. Siccome non c'è un reale motivo per chiudere i battenti si è utilizzata la strategia del terrore: controlli a raffica, agenti in borghese, perquisizioni selvaggie, arresti discrezionali. Andare avanti in queste condizioni sarebbe impossibile ma un qualcosa si può fare, perlomeno a livello simbolico. Firmare la petizione e divulgare per far sentire che siamo in tanti e non ci toglieranno anche questo spazio.

venerdì 18 settembre 2009

Nel dimenticatoio

Qualche mese fa, più o meno in concomitanza con il terremoto in Abruzzo, una nave piena di persone affondava al largo della Libia. Era diretta in Italia. Quell'Italia che in risposta alle critiche dell'Onu risponde ricordando quante vite ogni anno mette in salvo. Peccato che nel saldo manchino all'incirca 350 persone. In passivo. Un'inchiesta ha infatti scoperto che quel giorno le navi in mare erano due, entrambe colate a picco, nessun superstite. Questa notizia probabilmente la daranno in pochi, impegnati come sono i media a piangere 6 persone in divisa morte in guerra, e non la darà se non in un trafiletto neanche Beppe Grillo, che è molto bravo ad occuparsi del bene del mondo, dell'acqua, dell'energia, mentre delle persone che lo abitano invece gliene importa un po' meno, soprattutto se si chiamano immigrati. Forse la legge del consenso vale anche per lui.

domenica 6 settembre 2009

Il Paraculo

In un mondo che sta spostando le proprie comunicazioni nella rete di internet, Berlusconi va a dire alle popolazioni del Maghreb che il futuro è nella televisione. Dopodichè si lancia in un discorso straordinario sull'immigrazione ed il bello è che lo applaudono. Ah già dimenticavo, quella televisione è sua...





mercoledì 26 agosto 2009

Superstiti

IL REPORTAGE. Il racconto di Titti e Hadengai due dei cinque sopravvissuti sul gommone maledetto.
Un anno, 4 mesi e 21 giorni viaggio dalla morte all'Italia
di EZIO MAURO (Repubblica)

PALERMO - Italia? È una stanza bianca e blu, la numero 1703, pneumologia 1, primo piano dell'ospedale "Cervello". Un tavolino con quattro sedie, due donne coi capelli bianchi negli altri due letti, dalla finestra aperta le case chiare del quartiere Cruillas, le montagne di Altofonte Monreale, il caldo d'agosto a Palermo. Sui due muri, in alto, la televisione e il crocifisso, una di fronte all'altro.

È quel che vede Titti Tazrar da ieri mattina, quando apre gli occhi. Quando li chiude tutto balla ancora, ogni cosa gira intorno, il letto è una barca che si inclina e poi si piega sulle onde. Titti cerca la corda per reggersi, d'istinto, come ha fatto per 21 giorni e 21 notti, con la mano che da nera sembra diventata bianca per la desquamazione, una mano forata dalle flebo per ridare un po' di vita a quel corpo divorato dalla mancanza d'acqua. La gente che ha saputo apre la porta e la guarda: è l'unica donna sopravvissuta - con altri quattro giovani uomini - sul gommone nero che è partito dalla Libia con un carico di 78 disperati eritrei ed etiopi, ha vagato in mare senza benzina per 21 giorni, ha scaricato nel Mediterraneo 73 cadaveri e ha sbarcato infine a Lampedusa cinque fantasmi stremati da un mese
di morte, di sete, di fame e di terrore.
Quei cinque sono anche gli ultimi, modernissimi criminali italiani, prodotto inconsapevole della crudeltà ideologica che ha travolto la civiltà dei nostri padri e delle nostre madri, e oggi ci governa e si fa legge. I magistrati li hanno dovuti iscrivere, appena salvati, al registro degli indagati per il nuovo reato d'immigrazione clandestina, i sondaggi plaudono. Anche se poi la vergogna - una vergogna della democrazia - darà un calcio alla legge, e per Titti e gli altri arriverà l'asilo politico. Scampati alla morte e alla disumanità, potranno scoprire
quell'Italia che cercavano, e incominciare a vivere.

Un'Italia che non sa come cominciano questi viaggi, da quanto lontano, da quanto tempo: e come al fondo basti un richiamo composto da una fotografia e una canzone. Titti ad Asmara aveva un'amica col telefonino, e ascoltavano venti volte al giorno Eros Ramazzotti nella suoneria, con "L'Aurora". In più, a casa la madre conservava
da anni una cartolina di Roma, i ponti, una cupola, il fiume e il verde degli
alberi. Tutti parlavano bene dell'Italia, le mail che arrivavano in Eritrea, i
biglietti con i soldi di chi aveva trovato un lavoro. Quando la bocciano a
scuola, l'undicesimo anno, e scatta l'arruolamento obbligatorio nell'esercito,
Titti decide che scapperà in Italia. E dove, se no? Fa due mesi di addestramento in un forte fuori città, soldato semplice. Poi, quando torna ad Asmara, si toglie per sempre la divisa, passa da casa il tempo per cambiarsi, prendere un vestito di scorta, una bottiglia d'acqua più la metà dei soldi della madre, delle cinque sorelle e del fratello (200 nakfa, più o meno 10 euro), e segue un vecchio amico di famiglia che la porterà fuori dal Paese, in Sudan. Prima viaggiano in pullman, poi cresce la paura che la stiano cercando, e allora camminano di notte, dormendo nel deserto per sette giorni. Senza più un soldo, Titti va a servizio in una casa come donna delle pulizie, vitto e alloggio pagati, così può mettere da parte interamente i 250 pound sudanesi mensili. Quando va al mercato chiede dove sono i mercanti di uomini, che organizzano i viaggi in Europa. Li trova, e quando dice che vuole l'Italia le chiedono 900 dollari tutto compreso, dal Sudan alla Libia attraversando il Sahara, poi il ricovero in attesa della barca illegale, quindi il viaggio
finale.

Ci vuole un anno per risparmiare quei soldi. E quando si parte, sul camion i mercanti caricano 250 persone, sul fondo del cassone dov'è più riparato dalla sabbia ci sono con Titti due donne incinte e una madre col bimbo di tre mesi. Lei ha due bottiglie d'acqua, le divide con le altre, ci sono i bambini di mezzo, non si può farne a meno. Prima della frontiera con la Libia li aspettano, tutti guardano giù dal camion, temono un posto di blocco, invece sono gli agenti locali dei mercanti, li guidano per una strada sicura e li portano nei rifugi, disperdendoli: parte ammassati in un capannone, parte nei casolari isolati, soprattutto le donne. Le fanno lavorare in casa e negli orti, cibo e acqua sono come in galera, il minimo indispensabile. Trattano male, fanno tutto quel che vogliono. Dicono sempre che la barca è pronta, che adesso si parte, ma non si parte mai. Intimano alle donne di non uscire di casa e Titti diventa amica di Ester e Luam, che abitano con lei per quasi quattro mesi. Chi ha parenti in Europa deve dare l'indirizzo mail, in modo che i
mercanti scrivano, chiedano soldi urgenti per aiutare il viaggio, per poi intascare la somma quando arriva al money transfer, da qualche parte sicura.

Invece un pomeriggio alle cinque tutti urlano, bisogna uscire, sembra che si
parta davvero. Le ragazze dicono che non hanno niente di pronto, non hanno
messo da parte il pane e nemmeno l'acqua dalle porzioni razionate, non
sapevano: possono avere qualcosa da portare in barca? Non c'è tempo, alle sei
bisogna essere in mare, via con quello che avete addosso, e tutti lontani dalla
spiaggia che possono arrivare i soldati, meglio nascondersi dietro i cespugli e
le dune, forza. La barca è un gommone nero di dodici metri, che normalmente
porta dieci, dodici persone. Loro sono settantotto, nessun bambino, venticinque
donne. Non riescono a trovare spazio, c'è qualche tanica di benzina sotto i
piedi, stanno appiccicati, incastrati, accovacciati, qualcuno in ginocchio,
altri in piedi tenendosi alle spalle di chi sta sotto, nessuno può allungare le
gambe. Ma ci siamo, è l'ultimo viaggio, in fondo a quel mare da qualche parte
c'è l'Italia, Titti a 27 anni non ha la minima idea della distanza, pensa che
arriveranno presto. Ecco perché è tranquilla quando arriva la prima notte, lei
che è partita solo con dieci dinari, i suoi jeans, una maglia bianca e uno
scialle nero. Nient'altro.

"Adei", madre, sto andando, pensa senza dormire. "Amlak", dio, mi hai aiutato, continua a ripetersi mentre scende il freddo. A metà del secondo giorno, quando le ragazze pensano già quasi di essere arrivate, la barca si ferma. Il pilota improvvisato dice che non c'è più benzina. Schiaccia il bottone rosso come gli ha insegnato il trafficante d'uomini, ma non c'è nessun rumore. Adesso si sente il rumore delle onde. Nessuno sa cosa fare. Gli uomini provano col bottone, danno consigli, uno scende in mare a guardare l'elica. Le donne si coprono la testa con gli
scialli. Si avverte il caldo, nessuno lo dice, ma tutti pensano che l'acqua sta
finendo. Chi ha pane lo divide coi vicini. Un pizzico di mollica per volta,
facendo economia, allungandola nel pugno chiuso per farla bastare fino a sera,
cinque, sei bocconi.

La notte fa più paura. Non c'è una bussola, e poi a cosa servirebbe, con il gommone trasportato dalle onde, spinto dalla corrente, e nessuno può fare niente. Finiscono i fiammiferi, dopo le sigarette, non si vede più niente. Tutti a guardare il mare, sembra che nessuno dorma. La quarta notte spuntano delle luci a sinistra, poi se ne vanno, o forse la barca ha girato a destra. Era una nave? Era un paese? Era Roma? Cominci a sentirti impotente, sei un naufrago.

All'inizio ci si vergogna per i bisogni, fingi di fare un bagno attaccato con una mano alla corda, chiedi per favore di rallentare, e fai quel che devi in mare. Poi man mano che cresce l'ansia e anche la disperazione, non ti vergogni più. Chi sta male, chi sviene dal caldo e dalla fame, i bisogni se li fa addosso. Quando la situazione diventa insopportabile tutti urlano in quella parte del gommone: "Giù, giù, vai in mare, vai". Ma il settimo giorno i problemi cambiano.

Muore Haddish, che ha vent'anni, ed è il prino. Continua a vomitare da ventiquattr' ore, sta male, si lamenta prima della fame poi solo della sete. "Mai", acqua. Lo ripete continuamente. Anche Titti ripete "mai" nella testa, c'è solo acqua intorno a loro, eppure stanno morendo di sete, non riescono a pensare ad altro. Due ragazzi, Biji e Ghenè, si danno il turno a sorreggere Haddish, altri fanno il turno in piedi per lasciargli lo spazio per distendersi, uno sale persino sul motore. Dopo il tramonto tutti lo sentono piangere, urlare, gemere, poi non sentono più niente e non sanno se si è addormentato o se è morto. "E' arrivato - dice all'alba Ghenè - noi siamo in viaggio e lui è arrivato". I due giovani prendono Haddish per le spalle e per i piedi, dopo avergli tolto le scarpe, e lo gettano in mare. Le ragazze piangono,
una donna canta una nenia sottovoce.

Yassief si è portato in barca una Bibbia. La apre, e legge i Salmi: "Quando ti invoco rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato, pietà di me, ascolta la mia preghiera". Titti piange per il ragazzo morto, e pensa che non si poteva fare altrimenti. Adesso ha paura che il viaggio duri ancora giorni e giorni, che il mare li risospinga indietro verso la Libia, non possono viaggiare con un
cadavere, e poi hanno bisogno di spazio. "Meut", la morte, comincia a dominare
tutti i pensieri, riempie "semai", il cielo, verrà dal mare, "bahari". Le donne
si coprono la testa, il sole stordisce più della fame, tutto gira intorno, la
nausea cresce, salgono vapori ustionanti di benzina e di acqua dal fondo del
gommone. A sera, ogni sera, Yassief leggerà la Bibbia, Giosuè, Tobia, i Salmi,
e cercherà di confortare i compagni: noi stiamo morendo, ma qualcuno ce la
farà.

Muore qualcuno ogni giorno, ormai, e il numero varia. Uno, poi tre, quindi cinque, un giorno quattordici e si va avanti così. Dicono che i primi a morire sono quelli che hanno bevuto l'acqua di mare, Titti non sapeva che era mortale, non l'ha bevuta solo per il gusto insopportabile, si bagnava le labbra continuamente. Poi Hadengai ha l'idea di prendere un bidone vuoto di benzina, tagliarlo a metà, lavare bene la base e metterla sul fondo della barca, dove i morti hanno aperto uno spazio. Spiega che dovranno raccogliere lì la loro orina, per poi berla quando la sete diventa irresistibile, pochi sorsi, ma possono permettere di sopravvivere. Lo fanno, anche le donne, però di notte. Titti beve, come gli altri. Potrebbe bere qualsiasi cosa: anzi, lo sta facendo.

Dopo quindici giorni, appare una nave in lontananza. Sembra piccolissima, ma tutti la vedono, c'è. Chi ce la fa si alza in piedi, si toglie la maglia ingessata dal sale per agitarla in alto, urla. A Titti cade lo scialle in mare, l'unica protezione dal freddo, l'unico cuscino, la coperta, l'unico bene. Yassief e un altro ragazzo sono i soli che sanno nuotare: lasciano la Bibbia a una donna che ha la borsa con sé, si tuffano, è l'ultima speranza, torneranno a salvarli con la nave e li prenderanno tutti a bordo, dove c'è acqua e cibo. Tutti si alzano a guardarli, ma il gommone va dove vuole, dopo un po' nessuno li ha più visti, e pian piano la nave lontana è scomparsa, loro non ci sono più.

L'acqua è un'ossessione e intanto pensi al pane, al riso, alla carne, scambi i frammenti di legno per briciole, sai che è un inganno ma te li metti in bocca. Senti le forze che vanno via, vedi buttare a mare i cadaveri e non t'importa più. Ora quando arriva la morte butteranno giù anche me, pensa Titti, spero che mi chiudano gli occhi. Non sai i nomi dei tuoi compagni, conosci solo le facce. Al mattino ne cerchi una e non la vedi più, oppure ne trovi una che avevi visto calare in mare, non sai più dove finisce l'incubo e comincia la realtà. Ma adesso in barca tutti sanno che le due amiche, Ester e Luam, sono incinte, anche se non lo dicevano perché la gravidanza era cominciata in Libia, nella casa dei mercanti d'uomini, tra le
minacce e la paura. Tutti lo sanno perché loro stanno male e parlano dei bambini. Gli altri ascoltano, la pietà è silenziosa, nessuno litiga, qualcuno sposta chi gli cade addosso dormendo. Anche se non è dormire, è mancare. Non sai quando svieni e quando dormi. Ora allunghi le gambe sul fondo, i morti hanno lasciato spazio ai vivi.

Titti è più forte delle amiche. Quando Ester perde il bambino, è lei che getta tutto in mare, poi lava il vestito, e pulisce il gommone mentre tiene la mano all'amica, che dice basta, tutto è inutile, vado. Muore subito dopo, Titti non piange perché non ha più le forze, quando muore anche Luam due giorni dopo lei si lascia andare. Pensa solo più a morire, scuote la testa quando la donna con la Bibbia ripete quel che ha sentito da Yassief, ed ecco, noi stiamo morendo ma qualcuno arriverà. No, lei adesso rinuncia. Non pensa più all'Italia, non sa dov'è, non la vuole. Non ha più
nessuna paura. Ripete a se stessa che dev'essere così in guerra, nelle
carestie. Basta, vuoi finire, vuoi solo arrivare al fondo della fame, della
sete, di questo esaurimento, non hai il coraggio o l'energia o la lucidità per
buttarti e lasciarti andare, affondare sott'acqua e sparire, ma vuoi che sia
finita. Persa l'Italia, il gommone adesso ha di nuovo uno scopo: diventa un
viaggio per la morte, e va bene così. La diciassettesima notte, forse, Titti si
separa da tutto e raduna tutto, la madre e Dio, il cielo, il mare e la morte,
"Adei, Amlak, semai, bahari, meut". Rivede suo padre accovacciato, che fuma
contro il muro la sera. Si accorge che la sua lingua, il tigrigno, non ha la
parola aiuto.

Si accorge dalle urla, all'improvviso, che c'è una barca di pescatori e li ha visti. Arriva, e nessuno ce la fa più a gridare. Accostano, ma quando vedono sette cadaveri a bordo e quegli esseri moribondi hanno paura e vanno indietro. Allora i due ragazzi si avventano, non lasciateci qui. La barca si ferma, lanciano un sacchetto di plastica, ma finisce in acqua. Si avvicinano, ne lanciano un altro. Hadangai lo afferra e mentre lo aprono i pescatori se ne vanno, indicando col braccio una direzione.

Dentro c'è il pane, con due bottiglie. Titti beve, ma afferra il pane. Appena ha bevuto ne ingoia un morso, ma urla e sputa tutto. Il pane taglia la gola, non passa, lo stomaco e il cuore lo vogliono ma il dolore è più forte, ti scortica dentro, è
una lama, non puoi mangiare più niente. Ma con l'acqua l'anima comincia a
risvegliarsi. Forse siamo vicini a qualche terra. Sia pure la Libia, basta che
sia terra. Ed ecco un rumore grande, più forte, più vicino poi sopra, davanti
al sole. E' un elicottero, si abbassa, si rialza. Arriva una motovedetta di
uomini bianchi, non vogliono prenderli a bordo, ma hanno la benzina, sanno far
ripartire il motore, dicono ai ragazzi come si guida e il gommone li deve
seguire.
Un giorno e una notte. Poi l'ultima barca. Questa volta li fanno
salire. Sono rimasti in cinque: cinque su 78. Chi ce la fa ancora va da solo,
Titti la devono portare a braccia. Non capisce più niente, tutto è offuscato,
c'è soltanto il sole e lo sfinimento. La siedono. Poi le buttano acqua in
faccia. Lì capisce di essere viva. Non chiede con chi è, né dov'è. Che
importanza può avere, ormai? Forse non è nemmeno vero, basta chiudere gli occhi
per rivedere la stessa scena fissa di un mese, gli odori, gli sbalzi, il rumore
delle onde. Così anche in ospedale, dove le visioni continuano, volti,
cadaveri, immagini notturne, incubi sul soffitto e sul muro bianco e blu.

Ma se allunga la mano, Titti adesso trova una bottiglietta d'acqua. Attorno non
muoiono più. Ieri le hanno dato una card per telefonare a sua madre ad Asmara,
le hanno detto che è in Italia. Le persone entrano e le sorridono. Due ore fa
un medico le ha raccontato in inglese che hanno perso l'altro naufrago
ricoverato al "Cervello", Hadengai, in camera non c'è, l'hanno chiamato per una
radiografia e non si è presentato, hanno guardato sulle panchine nel giardino
ma nessuno sa dove sia. Lei non vuole più pensare a niente. Tiene una mano
sulle labbra gonfie, con l'altra mano, dove c'è un anello giallo alto e
sottile, tira il lenzuolo per coprire la piccola scollatura a V del camice. Ha
paura che sapendo della sua fuga all'Asmara facciano qualcosa di brutto a sua
madre e alle sue sorelle. E però vorrebbe dire a tutti che ha fatto la cosa
giusta, anche se adesso sa cosa vuol dire morire: ma oggi, in realtà, è la sua
vera data di nascita. Quando non ci sperava più ce l'ha fatta, è arrivata. Non
ha più niente da dire, può solo aspettare.
Poi si apre la porta, e arriva Hadengai. Ha una tuta da ginnastica nera, con la maglietta bianca, cammina lentamente incurvando tutti i suoi 24 anni, e spinge piano il vassoio col cibo che vuole mangiare qui. Ci ha messo un po' di tempo ad arrivare, si è perso, è tornato indietro, guardava senza capire tutte quelle scritte, la sala dialisi, le proposte assicurative in bacheca, i cartelli dell'Avis, la macchinetta al
pian terreno che distribuisce dolci e caramelle e funzionava da punto di
riferimento. Poi ha trovato la camera di Titti. Si è seduto sul bordo del letto
della paziente accanto, che sotto le coperte si è fatta un po' più in là.

I due naufraghi parlano sottovoce, lui assaggia qualcosa del pollo con patate che
ha sul vassoio, non apre nemmeno il nailon del pane, lei taglia in quattro un
maccherone. Ma va meglio, ormai. Non hanno un'idea di che cosa sia davvero
l'Italia 2009, fuori da quella porta. Ma prima o poi capiranno che sopra
l'ascensore numero 21, proprio davanti a loro, c'è scritto "la vita è un bene
prezioso".
(26 agosto 2009)

venerdì 14 agosto 2009

I prolet e l'enalotto

Erano quasi le venti e le mescite frequentate dai prolet (le chiamavano pub) erano stracolme di avventori. Dalle luride porte a vento che si aprivano e si chiudevano di continuo, promanava un fetore di urina, segatura e birra acida. Nell'angolo formato da un ingresso che aggettava nella strada, vi erano tre uomini in piedi vicinissimi tra loro. Quello al centro aveva un giornale aperto davanti agli altri due, standogli alle spalle, sembravano leggere con estrema attenzione. Prima ancora di essere abbastanza vicino da poter notare le espressioni dei loro volti, Winston si accorse che da ogni fibra dei loro corpi traspariva una concentrazione assoluta e ne dedusse che stavano leggendo qualche notizia di importanza fondamentale. Era ormai a pochi passi da loro, quando il gruppetto si aprì e due di essi cominciarono a litigare furiosamente. Per un attimo sembrarono perfino sul punto di venire alle mani.
"Vuoi sentire o no che cazzo ti sto dicendo? Sto dicendo che negli ultimi 14 mesi non ha mai vinto uno col numero che finiva col 7."
"Ha vinto, ha vinto!"
"Ti dico di no! A casa tengo conservati tutti i risultati degli ultimi due anni, li tengo segnati su un foglio di carta. Te lo dico un'altra volta, un numero che finiva col sette non ha..."
"Una volta col sette ha vinto, ti posso dire anche che cazzo di numero era, finiva 407 ed era febbraio, la seconda settimana di febbraio."
"Ma che febbraio e febbraio! Tengo tutto scritto. Te lo dico un'altra volta, un numero..."
Stavano parlando della Lotteria. Dopo aver proseguito per altri 30 metri, Winston si voltò a guardarli. Discutevano ancora appassionatamente, i volti accesi dalla disputa. La Lotteria con le enormi cifre che corrispondeva settimanalmente, era il solo avvenimento pubblico per il quale i prolet nutrissero un serio interesse. In tutta probabilità vi erano milioni di prolet per i quali la Lotteria costituiva la principale, se non unica, ragione di vita. Per loro era una delizia, una felice follia, un conforto, uno stimolante. Quando era in ballo la Lotteria, anche persone che sapevano a malapena leggere e scrivere dimostravano di riuscire a fare calcoli complicatissimi e di possedere una memoria stupefacente. Vi era poi tutta una cricca di persone che si guadagnavano da vivere vendendo amuleti, sistemi per vincere e pronostici. Winston sapeva, come sapevano tutti i membri del Partito, che i premi erano per la gran parte immaginari. A essere pagate erano soltanto somme esigue, mentre i grossi premi erano attribuiti a persone inesistenti.


Tratto da "1984" di George Orwell scritto nel 1948.

lunedì 10 agosto 2009

il Canone all'ospedale

Eccomi di nuovo a parlare di ospedali. Proviamo un po' ad immaginarci questa scena: Siamo tre signore anziane stese su di un letto ventiquattr'ore al giorno; stanza completamente bianca, colazione alle 7, pranzo 11.30, cena 18.30; orario di visita dalle 15 alle 16 e dalle 19 alle 20, praticamente impossibile entrare ad altri orari. Domanda: Cosa fai tutto il giorno? Chiacchieri un poco, ti fai qualche pisolino, occhi per leggere ce ne sono pochi e poi... poi guardi il muro e vi trovi appeso un televisore, una quindicina di pollici. Pensi che almeno un po' te lo puoi passare il tempo, ma non hai fatto i conti col canone. Per guardare la tv servono due euro al giorno a stanza. Per accendere una tv del 15-18 e vedere i canali analogici due euro al giorno. Se facciamo un rapido calcolo sul mese si arriva a spendere 60 euro per stanza, manco un abbonamento a sky o mediaset premium, se poi facciamo un calcolo per ogni stanza scopriamo che le suore (l'ospedale i questione è della Chiesa) si raccimolano (o meglio potrebbero raccimolare, perchè non ho visto nessuno con la tv accesa) un bel gruzzoletto. Siamo arrivati a questo per ridurre i costi nelle strutture?

lunedì 3 agosto 2009

Si sa, in Italia va così

Vi voglio raccontare di un'altra bella questione a cui ho dovuto far fronte sia all'Ospedale all'Angelo che all'Ospedale convenzionato Villa Salus, entrambi siti in Mestre. Mia nonna, fra le tante magagne, ha una piaga ad un tallone ed un'altra all'anca. Ogni tre giorni viene a domicilio l'assistenza infermieristica per medicarla; gli operatori portano con sè tutto il necessario. Ogni quindici giorni deve poi andare, trasportata dalla Croce Verde, all'Ospedale all'Angelo per fare una visita di controllo dal medico che, per forza di cose, deve togliere la medicazione precedente e quindi applicarne una di nuova. Questo è avvenuto senza particolari problemi fino ad ora. Si perchè all'ultima visita il dottore è venuto a dirci che il materiale per la suddetta medicazione costa troppo all'ospedale e che quindi avremmo dovuto portare tutto il costosissimo materiale, garze, cerotti e pasta di Hoffman, da casa a nostre spese.
Ma passiamo al Villa Salus, dove mia nonna è ricoverata da una decina di giorni. Tra le varie medicine prescritte a mia nonna c'è un cerotto transdermico, che rilascia una sostanza un po' per volta; le è necessario per problemi cardiaci. Va cambiato ogni tre giorni e per ogni confezione ve ne sono all'interno tre. Venerdì uno degli infermieri mi dice che loro (l'Ospedale!) non erano in grado di rifornirsi di quel particolare cerotto e che avrei dovuto provvedere a portarli da casa. A casa però erano finiti quindi ho chiamato il medico di base per chiedere una ricetta da mandare in farmacia cosicchè potessi andare a prenderle. Dopo un'ora il mio medico mi chiama per dirmi che per legge non possono essere prescritti medicinali ad un paziente ricoverato in ospedale e che le sembrava incredibile che il Villa Salus non potesse contattare i suoi fornitori per fare un semplice ordine. Alla fine, grazie ad un piccolo escamotage, ma non vi posso dire quale, sono andato alla farmacia e sono riuscito ad entrare in possesso di questi benedetti cerotti. Domanda. Senza quell'escamotage, che non era per niente dovutomi dalla persona che mi ha aiutato, mia nonna sarebbe dovuta rimanere senza medicina? Qualcuno mi ha consigliato di scrivere ai giornali. Non l'ho fatto perchè non mi interessa che le persone dicano frasi tipo:"Ah beh siamo in Italia si sa che va così". Lo scrivo invece a voi, che direte più o meno la stessa cosa ma almeno non avrete speso i soldi del giornale.. Nel frattempo sto preparando le lenzuola, i piatti e anche qualche flebo, non si sa mai che non debba portare anche quelle. Buona vita a tutti.

Nuova chicca della Gazzetta dello Sport

Era da tanto che non beccavo la Gazzetta in una delle sue perfomance di orientamento dell'opinione pubblica, per dirla con le parole della Annunziata. All'apparenza può sembrare una cavolatina ma secondo me è indice di come questo giornale sportivo sia asservito ad una certa persona. Se si va sulle pagine della SerieA a sbirciare le carriere dei singoli giocatori scopriamo che vi sono differenziate le presenze nelle varie stagioni in base alla competizione a cui la squadra di club o nazionale ha partecipato. Quindi vi troviamo i campionati, le coppe di lega, le Champion's League, gli Europei, le Coppe America, fino ad arrivare ai Mondiali. E poi...e poi c'è un'altra voce che si può vedere soprattutto nei casellari dei giocatori che negli anni hanno militato nella Juventus e nel Milan, visto che prevalentemente sono state le squadre a giocarsi quest'ambitissima competizione: il Trofeo Berlusconi. Una coppetta di calcio estivo come tante altre (Pirelli, Moretti, Opel e chi più ne ha più ne metta) dedicata al papà di papi, Luigi Berlusconi. Siamo certi che ogni calciatore invecchiando racconterà ai nipotini di aver avuto l'onore di partecipare a questa sfida stellare invidiata da tutto il mondo. Complimenti ancora alla Gazzetta.

martedì 28 luglio 2009

Massa

Quanto successo un paio di giorni fa a Massa è stato presentato dalle televisioni e giornali con titoli tipo "scontri tra ronde". Non è proprio questa la verità. Il Pacco Sicurezza dice chiaro e tondo che le ronde non devono avere connotati politici. Le ronde SSS, Soccorso Sociale e Sicurezza, ogni assonanza con le SS è puramente casuale, sono ronde organizzate da gruppi di estrema destra. E come tali si comportano. Era palese che se il governo non avesse fatto nulla per impedire questo evolversi delle ronde qualche cittadino che potrebbe, incredibile ma vero, non essere d'accordo, si sarebbe adoperato per contrastarle. Chi l'avrebbe mai detto? Io, per esempio, in un post di qualche mese fa su degli scontri simili avvenuti a Padova, dove però gli "screzi" erano tra ronde di diverso tipo che si erano beccate. Ecco è qui che sta la mistificazione dello scrivere in questo caso "scontro fra ronde". I ragazzi dell'Asp e del Carc, sono scesi in strada in corteo per protestare contro le ronde fasciste, non per fare le ronde. Non è esattamente la stessa cosa agli occhi di un lettore a me sembra. Poi come sempre interviene la polizia e si contano i feriti tra i poliziotti e gli arresti tra quelli di sinistra. Ma che strano! Mi ricorda un po' Piazza Navona ...

sabato 25 luglio 2009

Un giorno all'ospedale





Vi voglio raccontare di una giornata che ho passato all'ospedale "All'angelo" di Mestre, in particolare di due fatti che mi hanno dato da pensare. Ci sono andato perchè mia nonna è stata portata da un'ambulanza al Pronto Soccorso. Quando si entra in un ospedale quali generi di figure ci si aspetta di trovare? Camici bianchi, infermieri, persone di questo tipo. Domenica scorsa, 19 luglio vi posso assicurare che non era così. Davanti alla "triage", cioè l'accettazione dove chi di turno decide discrezionalmente a quale categoria (colore) di gravità appartiene il motivo per cui ti trovi lì, c'erano due persone in divisa. Un uomo e una donna per la precisione. Non erano poliziotti, non erano carabinieri, finanzieri o vigili; erano due guardie di una ditta privata, la "Costantini Divisione Sicurezza". Divisa nera e azzurra, pistole belle in vista, pronti a rispondere ad ogni domanda che riguardasse in particolar modo il parcheggio, ma non solo. La signora oltre ad aver fumato almeno 5 sigarette nelle due ore in cui sono stato lì, ha svolto con fermezza il suo compito allontanando una donna dai pressi dell'entrata perchè stava parlando al cellulare. "Non vede che è vietato" le ha detto con autorità. Ecco l'autorità. Che autorità dovrebbe avere questa gente per me? Chi sono per venirmi a dare ordini all'interno di un ospedale? Certo, mi si dirà, l'Azienda Ospedaliera, perchè è così che dovrebbero essere chiamati gli ospedali, è privata quindi può assumere vigilanza privata, ma ancora non capisco quale autorità dovrebbe avere per me uno con la divisa fornita dal signor Costantini Helio (si, con l'H) con sede della Cooperativa in via Galileo Galilei a Mestre. Fa parte delle ditte autorizzate dalla Prefettura, ma chi vi lavora non è un pubblico ufficiale, quindi se io non eseguo quello che mi dicono, esattamente cosa dovrebbe succedermi? Ed ancora, è davvero così necessario in un Pronto Soccorso, di domenica mattina, tra anziani, bambini e malati, avere due persone in divisa che vigilano oltre al sistema di telecamere, con pistole pronte all'uso? Siamo arrivati a questo punto con la follia sulla sicurezza? A normalizzare una cosa del genere?
Il secondo aneddoto è un po' più sottile me ne rendo conto, però dà l'idea dell'aria che tira in questo paese chiamato Italia. Nelle sale d'attesa solitamente si possono trovare giornali, riviste e quant'altro giusto? Bene sempre quella domenica me ne stavo lì seduto ad attendere senza far nulla visto che può entrare solo una persona alla volta per vedere il familiare (ditemi quel che volete ma almeno che non ci si presenti in squadre di calcio, questo è alquanto insensibile e stupido) vado alla ricerca di qualcosa da leggere. Vedo una bacheca appesa al muro con un'unica rivista, "L'incontro". Senza raccontarvi i contenuti, di questo giornale voglio dirvi lo scopo, che si trova scritto in ultima pagina: La RI-evangelizzazione della NOSTRA gente, come se chi non crede ciò in cui loro credono, non lo faccia per una scelta, ma perchè inconsapevoli. Ma a parte questo, perchè in un luogo pubblico come l'ospedale, sebbene come abbiamo già detto sia gestito da privati, l'unica lettura nella sala d'attesa deve essere questa? Oggi mia nonna è ricoverata all'ospedale "Villa Salus" sempre a Mestre, una struttura convenzionata. E' gestita dalla Chiesa. Nessun problema. Mia nonna però non ha chiesto di essere curata secondi i dettami cristiani, è andata al pronto soccorso dell'ospedale perchè stava male ed è stata trasferita qui, perchè è uno dei luoghi di "smistamento" dall'ospedale principale. Stamattina sono andato a darle da mangiare e sul comodino ho trovato di nuovo quella rivista; la suora, che funge da caposala, gliel'ha messa lì per "leggere qualcosa" a suo dire. Io questo lo chiamo approffitarsi della debolezza e sconforto che in alcuni momenti possono cogliere stando all'interno di un ospedale e lo trovo disgustoso. Forse la Chiesa dovrebbe preoccuparsi anche un po' della vita terrena delle persone, anzichè utilizzare questi escamotage per "salvare le anime". Magari incaricando qualcuno di cambiare i vestiti ad una anziana incontinente a cui è stato messo male il pannolone e che è sporca fino al colletto della camicia da notte di una sostanza marrone che non è né fango né cioccolata, bensì merda. Ma mi rendo conto che siamo all'interno di un ospedale zeppo di suore che circolano per le corsie, non ci può aspettare troppa carità. O forse ho interpretato male il gesto della suora di lasciare lì il giornale, forse serviva perchè era finita la carta igienica. Comunque anche in questo caso, questa signora quale autorità dovrebbe avere su di me, paziente dell'ospedale? Non parlo del suo ruolo nell'ospedale, ma di quello di religiosa. Se io non sono credente di quella religione, posso avere il dovuto rispetto, ma per quale motivo dovrei sentirmi obbligato a sottostare a dettami che non ho scelto, nel momento in cui vengo trasferito da un ospedale ad un altro? Ospedale quest'ultimo che di sicuro al momento dell'accreditamento non ha avuto il mandato di rievangelizzare nessuno, ma solo di prendere in carico persone per fornire le cure necessarie. Vorrei tanto conoscere le statistiche di trasferimento dall'ospedale "All'angelo" al "Villa Salus" e vedere quante persone appartenenti ad altre religioni (culture, razze o che dir si voglia) vengono mandati lì. Bene fine del racconto. Qual'è la morale? Che ci sono tante persone in divisa, qualunque essa sia, che hanno la presunzione presuntuosa di poter comandare la collettività intera senza averne però alcuna autorità. Che Chiesa e sicurità vanno spesso a braccietto. No non ho scoperto niente di nuovo, ma quando queste cose le vivi sulla pelle hanno un gusto che non si riesce a mandar giù e quindi si sente la necessità di esternare.

Un'ultima piccola curiosità. Osservate i simboli qui sotto. Il primo è della "Costantini Divisione Sicurezza", il secondo è il simbolo delle cosiddette "ronde nere" lanciate dall'M.S.I. un paio di mesi fa grazie al decreto sicurezza. Notate qualche somiglianza?



martedì 21 luglio 2009

Testo definitivo del "Pacco Sicurezza"

Torna l’oltraggio a pubblico ufficiale. Nel primo articolo, sull’immigrazione, la legge reintroduce il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, depenalizzato nel 1999 (legge n. 205/99). «Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni», contro i due anni previsti prima della depenalizzazione. Inoltre la pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato; se la verità di fatto è però provata o in seguito l’ufficiale è condannato, l’autore dell’offesa non è punibile. Il reato si estingue se l’imputato ripara interamente il danno con un risarcimento sia nei confronti della persona offesa sia in quelli dell’ente a cui essa appartiene. Nel codice penale viene poi introdotta una norma che prevede la non punibilità per una serie di reati (tra i quali la nuova fattispecie di oltraggio) quando il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio o il pubblico impiegato abbia causato il fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.

Salvaguardia di edifici e mezzi di trasporto e decoro urbano. Nell’art. 3, sulla sicurezza pubblica, nell’intento di arginare il fenomeno dei cosiddetti writers o graffitari il reato di danneggiamento, che prevede un’ammenda sino a 2.582 euro o la permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o il lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi (art. 635 c.p.), viene esteso anche agli “immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati”. La sospensione della pena viene subordinata alla ”eliminazione delle conseguenze dannose”, oppure –se l’imputato è d’accordo- ad un lavoro non retribuito a favore della comunità.
La modifica dell’art. 639 del c.p. aggrava poi le pene per deturpamento o imbrattamento dei beni immobili pubblici e privati –non solo nei centri storici- nonché su mezzi di trasporto pubblici o privati (auto, bus, treni, ecc.) con la reclusione da uno a sei mesi e un’ammenda da 300 a 1.000 euro. Se si deturpano o imbrattano cose di interesse storico o artistico, ovunque ubicate, la sanzione è aumentata e prevede la reclusione da 3 mesi ad un anno con una multa da 1.000 a 3.000 euro.
Inoltre, in caso di reiterazione del reato si procede d’ufficio, con una pena che va da tre mesi a due anni ed una multa che può arrivare a 10.000 euro. Una multa fino a 1.000 euro è prevista per “chiunque vende bombolette spray contenenti vernici non biodegradabili ai minori di diciotto anni”. La legge stabilisce inoltre che le multe “previste dai regolamenti ed ordinanze comunali per chiunque insozzi le pubbliche vie non possono essere inferiori all’importo di 500 euro”. Mentre “chiunque insozza le pubbliche strade gettando rifiuti od oggetti dai veicoli in movimento o in sosta è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 1.000 euro”.

Occupazione abusiva di suolo pubblico. La legge accorda ai sindaci ed ai prefetti nuovi poteri in materia di occupazione abusiva di suolo pubblico, vale a dire quando qualcuno invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne profitto (art. 633 c.p.), oppure quando strade, fasce di rispetto, marciapiedi vengono occupati con veicoli, baracche, tende e simili, con chioschi, edicole od altre installazioni (art. 20 codice della strada). I sindaci, per le strade urbane, e i prefetti, per quelle extraurbane – o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo – possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti. Se si tratta di occupazione a fine di commercio, poi, è prevista la chiusura dell’esercizio fino al pieno ripristino dei luoghi e al pagamento delle spese. Stessi provvedimenti per l’esercente che non pulisca o non tenga in ordine gli spazi pubblici di fronte al suo locale.

I maggiorenni responsabili dei delitti dei minori. Vengono aggravate le pene applicate al correo maggiorenne. Sono, infatti, applicabili le aggravanti nei confronti delle persone maggiorenni che concorrono nel reato con un minore di anni 18 o con una persona in stato di infermità o di deficienza psichica. La norma mira a fungere da deterrente per bloccare il fenomeno prima che l’effetto emulazione e le condotte violente che si vanno diffondendo in età scolare rendano il fenomeno inarrestabile.

No all’accattonaggio dei minori. Riprendendo un disegno di legge della precedente legislatura, rischierà fino a tre anni di carcere chi, per mendicare, si avvale di chi ha meno di 14 anni o permette che il minorenne, sottoposto alla sua autorità o affidato alla sua custodia o vigilanza, mendichi, oppure permette che altre persone se ne avvalgano per mendicare. Inoltre, per i reati di riduzione in schiavitù, tratta di persone ed acquisto e alienazione di schiavi, commessi dal genitore o dal tutore vengono introdotte pene accessorie quali la perdita della potestà di genitore o interdizione perpetua da qualsiasi forma di sostegno, tutela e cura.

Più grave la truffa contro le persone indifese. Con la modifica dell’art. 640 c.p. , che disciplina il delitto di truffa, viene introdotta come nuova circostanza aggravante, «l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa», anche in riferimento al caso di chi approfitti dell’età avanzata della persona che ha subito il danno.

Requisiti ed albo dei buttafuori. La legge detta norme precise su «l’impiego di personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento o di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, anche a tutela dell’incolumità dei presenti. L’espletamento di tali servizi non comporta l’attribuzione di pubbliche qualifiche. È’ vietato l’uso di armi, di oggetti atti ad offendere e di qualunque strumento di coazione fisica». «Il personale addetto ai servizi è iscritto in apposito elenco, tenuto anche in forma telematica dal prefetto competente per territorio». Un decreto del Ministro dell’interno, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, fisserà i requisiti per l’iscrizione nell’elenco nonché le modalità per la selezione e la formazione del personale. Chi non risponde ai requisiti fissati non potrà svolgere l’attività a rischio di una multa da 1.500 a 5.000 euro, che vale anche per chi impiega personale non autorizzato.

Bombolette antiaggressione. La legge attribuisce al Ministro dell’interno il compito di definire le caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un prodotto naturale a base di olio di peperoncino e «che non abbiano l’attitudine a recare offesa alla persona». Il Ministero dell’Interno è autorizzato ad emanare il relativo regolamento -di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali- entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Ritiro della patente di guida. «È sempre disposta la confisca amministrativa del veicolo intestato al conducente sprovvisto di copertura assicurativa quando sia fatto circolare con documenti assicurativi falsi o contraffatti». Inoltre, a chi falsifica i documenti assicurativi viene sospesa la patente per un anno. Con la modifica di varie norme del codice della strada, nel caso di guida in stato di alterazione per uso di alcool o sostanze stupefacenti, è previsto un raddoppio della durata della sospensione della patente se il veicolo con il quale è stato commesso il reato appartiene a persona estranea al reato; la modifica del testo unico stupefacenti prolunga il termine di possibile sospensione della patente da un anno a tre anni.

Registro dei senza fissa dimora. «La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l’effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita». Presso il Ministero dell’interno è istituito un apposito registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora.

Le ronde. «I sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». «I sindaci si avvalgono, in via prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato». «Le associazioni sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso». Con decreto del Ministro dell’Interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono determinati gli ambiti operativi delle disposizioni ed i requisiti per l’iscrizione nell’elenco.

Contro la criminalità organizzata – Lavori pubblici. Nell’azione di prevenzione delle infiltrazioni mafiose, «il prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici». Modificando il codice dei contratti pubblici, vengono esclusi dalla partecipazione alle gare soggetti che, essendo stati vittime di concussione o estorsione aggravata, non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria.

Contro la criminalità organizzata – 41-bis. La modifica dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario riconosce al Ministro dell’Interno il potere di richiedere al Ministro della giustizia l’emissione del provvedimento che dispone il regime carcerario speciale; la durata del provvedimento viene innalzata a 4 anni (attualmente va da un minimo di un anno ad un massimo di due); la proroga potrà essere biennale (oggi è annuale), disposta solo quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno. La legge, inoltre, punisce con la reclusione chi consente a un detenuto sottoposto al regime carcerario speciale di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni imposte.

Reato di clandestinità. La legge classifica l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato come contravvenzione, con un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Non è previsto il carcere, ma non è possibile applicare l’articolo 162 del codice penale (Oblazione nelle contravvenzioni), perciò il pagamento di una somma di denaro non estingue il reato. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato per il reato di clandestinità non è richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato. Il questore comunica all’autorità giudiziaria l’avvenuta esecuzione dell’espulsione. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se tuttavia lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima che sia decorso il termine previsto (di solito dieci anni, ma mai meno di cinque) viene applicato l’articolo 345 c.p.p., relativo alla riproponibilità dell’azione penale per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona pur in presenza di una sentenza di non luogo a procedere.

Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. È favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ogni atto diretto «a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato od in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente», nonché la condotta di chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni contenute nel testo unico dell’immigrazione (D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286). Per quanto riguarda la pena, è confermata la reclusione da uno a cinque anni e una pena pecuniaria di 15.000 euro per ogni clandestino di cui si sia favorita l’immigrazione. Rispetto alla norma precedente, che prevedeva una multa fino a 15.000 euro a persona, viene eliminata ogni valutazione discrezionale da parte del giudice.

Rischia il carcere chi affitta ai clandestini. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Fondo per i rimpatri. «È istituito, presso il Ministero dell’interno, un Fondo rimpatri finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza». Nel Fondo confluiscono la metà del gettito del contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, nonché i contributi eventualmente disposti dall’Unione europea per le finalità del Fondo medesimo. La quota residua è assegnata al Ministero dell’Interno, per gli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno.

Contrasto ai clandestini presenti sul territorio – Il permesso di soggiorno per gli atti di stato civile. Il permesso di soggiorno dovrà essere esibito oltre che per il rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero (come già previsto dal Testo unico sull’immigrazione) anche per gli atti di stato civile o relativi all’accesso a pubblici servizi. Nella definizione di atti di stato civile sono compresi documenti quali gli atti di acquisto della cittadinanza, gli atti di nascita, filiazione e adozione, gli atti di matrimonio, di morte. Tra i pubblici servizi ad accesso individuale sono annoverati i servizi sociali, sanitari, scolastici e i servizi pubblici locali (trasporto pubblico locale, erogazione di energia elettrica, gas, acqua, ecc.).

Contrasto ai clandestini presenti sul territorio – La denuncia degli agenti. Gli agenti in attività finanziaria che prestano servizi di trasferimento fondi (money transfer) acquisiscono e conservano per dieci anni copia del permesso di soggiorno se chi ordina l’operazione è un cittadino extracomunitario. In mancanza del titolo gli agenti effettuano, entro dodici ore, apposita segnalazione all’autorità locale di pubblica sicurezza, trasmettendo i dati identificativi del soggetto. Il mancato rispetto di tale disposizione è sanzionato con la cancellazione dall’elenco degli agenti in attività finanziaria.

I centri di identificazione ed espulsione. Sarà possibile prorogare sino ad un massimo di 180 giorni il periodo di trattenimento degli immigrati clandestini nei centri di identificazione ed espulsione (CIE). La norma si applica anche agli stranieri già presenti nei CIE alla data di entrata in vigore della legge.

Limitazione del divieto di espulsione. La legge limita il divieto di espulsione e di respingimento degli stranieri conviventi con parenti italiani, ai soli parenti entro il secondo grado, invece del quarto.

Verifica della casa. La legge prevede che a seguito dell’iscrizione anagrafica e delle richieste di variazione, gli uffici comunali possano procedere alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui si intende fissare la propria residenza. La norma fa riferimento all’Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente del 1954.
Per lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare i requisiti di idoneità igienico-sanitaria dell’alloggio non vengono più accertati dall’Azienda unità sanitaria locale, ma dai competenti uffici comunali, insieme con l’idoneità abitativa.

Permesso di soggiorno più difficile. Permesso ‘a punti’. Con modifica del testo unico sull’immigrazione, viene introdotta la definizione del concetto di “integrazione” e prevede, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, l’obbligo per lo straniero di stipulare un “accordo di integrazione”, articolato su crediti, la cui disciplina è rimessa a un regolamento da emanare. La perdita integrale dei crediti comporta la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione amministrativa dello straniero.

Costi e tempi del rilascio del permesso. La richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno prevede un versamento di un contributo tra 80 e 200 euro, il cui ammontare sarà stabilito dal Ministro dell’Economia. È previsto un unico termine – 60 giorni prima della scadenza – per la richiesta di rinnovo.

Test di italiano. «Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca».

Condizioni più restrittive per l’ingresso. Alle condizioni che impediscono l’ingresso dello straniero in Italia vengono aggiunte le condanne con sentenza non definitiva e la condanna definitiva per reati in materia di tutela del diritto d’autore e contraffazione di marchi o prodotti industriali.

Dopo il matrimonio due anni per diventare cittadino italiano. Passa da sei mesi a due anni il periodo di residenza in Italia necessario dopo il matrimonio per lo straniero che sposi un cittadino italiano. Resta di tre anni per lo straniero residente all’estero. In entrambi i casi il periodo viene dimezzato in presenza di figli nati ‘dai coniugi’. Per contrarre matrimonio lo straniero deve esibire « un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». Le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza sono soggette al pagamento di un contributo di importo pari a 200 euro.

Status di rifugiato. Nella disciplina per la concessione del riconoscimento dello status di rifugiato vengono modificate le procedure per il ricorso giurisdizionale contro le decisioni relative alle domande di riconoscimento, per trasferire alcune prerogative (obbligo di notifica, possibilità di stare in giudizio) dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo al Ministero dell’Interno che le svolge tramite la Commissione stessa.

Pubblicato dal blog di Paolo Ferrario

lunedì 20 luglio 2009

La grande sputtanata

Se non si dimette neanche adesso allora vuol dire che ce lo terremo per sempre.
Andate sulla pagine dell'Espresso, ascoltate e poi stringete la mano a chiunque voi conosciate che sia elettore del centrodestra.

domenica 19 luglio 2009

Proibizionismo

Come scritto sul mio blog, sono convinto che si possa sopravvivere senza avere risposte ma che non si possa vivere senza porsi domande. Il fatto è che prima di dare risposte bisognerebbe essere sicuri di essersele poste tutte le domande. Facciamo un esempio. Il governo sta pensando di trasformare in legge dello Stato un'ordinanza del sindaco di Milano che vieta la vendita di alcolici ai minori di 16 anni. Il problema quindi è l'abuso nel bere da parte dei ragazzi, la domanda che si sono fatti è cosa "posso fare per impedirlo?", la risposta è "vietarlo". All'apparenza il discorso fila liscio. In realtà è il tipico ragionamento di "destra". Se c'è un problema reprimere. Si risolverà la cosa? Assolutamente no, perchè le politche repressive non risolvono mai nulla, servono solo a nascondere la polvere sotto al divano. Quindi dov'è lo sbaglio? Nella domanda. Il quesito da porsi non riguarda il fermare il fenomeno ma capirne le motivazioni e agire su quelle. Perchè non viene vietata la pubblicità degli alcolici? Perchè non vengono vietate le sponsorizzazioni delle marche di alcolici? Perchè le soluzioni devono riguardare un restringimento della libertà delle persone? Si certo il comportamento di ognuno è un fattore individuale, ma è in una società che viviamo, che impariamo. In questa maniera tu non educhi che è sbagliato e autodistruttivo abusare d'alcol, ma insegni solo che se tieni quel comportamento rischi una sanzione. Non è esattamente la stessa cosa...

Benvenuti in Italia

"L'Italia è il Paese del cielo, del sole, del mare. Un Paese magico, capace di incantare e di conquistare il cuore non solo di chi ci vive, ma anche di chi lo visita, di chi lo scopre per la prima volta. Un Paese che regala emozioni profonde attraverso i suoi paesaggi, le sue città, i suoi tesori d'arte, i suoi sapori, la sua musica. Un viaggio in Italia, per noi italiani e per chiunque arrivi da ogni parte del mondo, è un viaggio nell'arte e nel bello. L'Italia è magica. Scopritela. Nascerà un grande amore."

Vi propongo questo sondaggio. Da chi può essere stata pronunciata questa celebre frase?

A-Dante Alighieri
B-Lucio Battisti
C-Silvio Berlusconi
D-Giuseppe Garibaldi


Se siete in trepidazione per conoscere la risposta andate sul sito italia.it e vomitatevi addosso scoprendo come vengono ri-spesi, perchè il sito era stato "creato" dal genio di Rutelli, 5 milioni di euro di denaro pubblico.

venerdì 17 luglio 2009

Lo stigma in una parola

Negro, nero, ragazzo di colore. Parole. Mi piacciono molto le parole. Perché vogliono dire tutto e qualche volta niente. Perché partono dalle nostre teste e finiscono nelle teste di altre persone. Perché ci definiscono e ci permettono di capire o forse di non capire certe cose. Perché ci permettono qualche volta di comunicare. Sono quasi undici anni che sono in Italia e mi rendo conto che la parola sia importante. Parlare con la gente, ascoltare, leggere testi, giornali, libri. Porsi delle domande. Vivere la quotidianità. In questi undici anni non ho mai vissuto veramente episodi di razzismo. Qualche momento particolare anche un po´ difficile. Tensioni. Razzismo, mai. Non mi sono mai posto la domanda se l´Italia era legata alla parola razzismo. Se l´Italia era un paese razzista. C´erano, ci sono delle persone razziste. Delle persone che non vogliono accettare l´esistenza e la presenza di persone altre. Di persone diverse. Ma cosa normale, vero? Forse anche giusta. Sarebbe bello trovare un paese perfetto, con della gente perfetta, tranquilla, felice, non razzista. Ma i paesi sono per fortuna fatti di persone, uomini, donne, persone che scelgono da che parte stare. Con chi stare e con chi parlare. Persone che decidono di accogliere o di rifiutare. Poi ogni tanto anch´io mi sono comportato da razzista. Ho rifiutato di comunicare, di parlare con certe persone. Di incontrare. Ho giudicato anche e solo sulla base di criteri che partivano dal mio punto di vista e che non avevano forse niente a che vedere con la realtà. Per fortuna sono una persona. Uso parole. Parlo. Mi sbaglio. Sono. Undici anni in Italia vivendo con la gente. Parlando. Cercando di partecipare. Di comunicare. Di essere. Io sono. In questi anni mi sono sempre posto una domanda semplice: come faccio ad essere Cleo e non legato a delle parole che per me non avevano niente a che vedere con quello che sono. Quello che pensavo di essere. Quello che volevo essere. Io. Allora davanti a parole come nero, negro o ragazzo di colore non mi offendevo ma non ero d´accordo. Non sono nero, non mi sento un negro e non so a cosa si riferisce la parola di colore. Ma per me non erano parole razziste. Era forse un tentativo di definire delle persone. Di semplificare. L´uomo ha qualche volta voglia di semplificare. Di codificare. Questo è bianco, questo è giallo, questo rosso e questo è nero. I bianchi sono veramente bianchi? I neri, neri? Guardo sempre i ragazzi cinesi che vengono nel centro aggregativo dove lavoro e cerco il colore giallo. Allora la domanda perché non possiamo lasciare la possibilità alle persone di autodefinirsi? Di dire io mi sento blu. Si sono blu. Tutta questa divagazione per portare ad un fatto che mi è capito da poco e che mi ha fatto riflettere. Ero sulla strada che si chiama Repubblica. Sulla mia bici. Alla rotonda aspetto che passano le macchine prima di attraversare la strada. Quando si libera comincio l´attraversamento non rendendomi conto dell´arrivo di una persona in motorino. Per un pelo non mi ha preso. Pedalando veloce sono riuscito ad arrivare dall´altra parte della strada. Arrivato, sento dietro questa parola ad alta voce: “negro”. Mi giro e vedo questa persona, sul suo motorino che stava per ammazzarmi gridare questa parola e non fermarsi, non guardarmi. Cosi. Negro. Era difficile per me in quel momento pensare che era solo una parola. Una parola buttata cosi. Senza senso, senza ragione. No, mi sono posto questa domanda: cos´è cambiato? Io, la mia percezione della realtà italiana o l´Italia. Forse sono cambiato, forse la situazione di tutti giorni mi porta a vedere le cose diversamente. Ad essere meno tollerante. Più sofferente. Forse ho l´impressione di avere dato abbastanza a questo paese per meritarmi certi trattamenti. Forse non sento neanche più il desiderio di lottare per entrare nei meccanismi di una città, di un paese che fa di tutto per rifiutarmi. Forse sono stanco di essere un eterno “straniero” malgrado tutto il tempo passato qui. E poi credo che sia cambiata l´Italia. La mia Italia è meno tollerante. Meno accogliente. Più aggressiva nei confronti degli altri, dei diversi. E credo che dobbiamo iniziare a lavorare sulle parole. Sul senso che diamo alle parole. Su come viviamo la parola. Ho dunque deciso di offendermi quando mi chiamano nero, negro o ragazzo di colore. Quando dicono che sono straniero, quando mi chiamano extracomunitario. Otto anni fa, quando sono tornato in Burkina Faso, mio padre mi aveva chiesto se gli italiani erano razzisti. Ho risposto, no. Qualche problema c’era, razzismo no. Adesso se me lo dovesse chiedere ancora, non saprei cosa rispondere.

di Cleophas Adrien Dioma pubblicato su Arcoiris.tv

Morti di Stato

In questi giorni si è parlato tanto di quattro morti. Tutti giovanissimi. Tutte persone a loro modo innocenti. Uno era un soldato. E' morto in Afghanistan. C'è chi dice che solo per il fatto di trovarsi lì con un fucile in mano si sia meritato di morire, chi lo vede un patriota. Chissà perchè se uno muore facendo il soldato è un'eroe mentre se uno muore lavorando in un cantiere è uno stronzo fra i tanti. Non la capirò mai questa cosa. Il fatto è che sono anche convinto che in un paese che ti educa, soprattutto se nasci nel meridione, ad arruolarti perchè ti vengono date ben poche possibilità e vieni pagato profumatamante, tendo a vedere meno colpe, sebbene a me non passerebbe neanche per l'anticamera di essere remunerato rischiando la mia vita o con la possibiltà di toglierla a qualcun altro. Due hanno un'altra cosa in comune sono stati uccisi da poliziotti in servizio. Di Aldrovandi ho già parlato in un post precedente, mentre ieri è stata pronunciata la sentenza per l'omicidio di Sandri. Per la morte del primo 3 nni e 6 mesi ai quattro poliziotti che l'hanno ucciso. Con l'indulto e la legge sull'affidamento ai servizi sociali entro i tre anni di pena, non faranno nemmeno un giorno di carcere. La colpa di Aldrovandi era di essere forse in stato confusionale dovuto a qualche droga, non si sa, quello che si sa è che un ragazzo di 19 anni tutt'altro che possente e pericoloso, era solo con quattro poliziotti ed è morto. Il secondo stava andando ad una partita. Era ad un autogrill c'è stato un battibecco con ragazzi che tifavano un'altra squadra, un poliziotto ha sparato e l'ha ucciso. Condanna di 6 anni contro la morte di una persona che aveva la vita da vivere. L'ultimo non ha quasi nulla in comune con gli altri; non era un militare, né è stato ucciso da poliziotti. Aveva 19 anni, la sua colpa aver rubato una scatola di biscotti; i due baristi sono usciti, che siano stati provocati o meno, l'hanno preso a sprangate e l'hanno ammazzato. Pena 15 anni per la morte di una persona che aveva tutta la vita davanti a sé. Perchè l'ho inserito on gl altri? Perchè lo ritengo un omicidio di Stato come gli altri. Lo Stato che manda ragazzi ad uccidere e farsi uccidere per accontentare le lobby economiche. Lo Stato che non punisce adeguatamente le mele marce della polizia creando un clima d'odio attorno alle forze dell'ordine, che non sono necessarie solo nel "paese dei balocchi", ma che dovrebbero forse essere un organo indipendente, tanto quanto la magistratura e subire lo stesso tipo di controllo che subiscono le altre cariche delle democrazie (anche se in Italia in questo momento non avviene neanche per le altre). Lo Stato infine, che diffonde propaganda razzista salvo poi far finta di niente quando accadono episodi eclatanti di razzismo. Come appunto quanto successo a Milano. Perchè se a rubare quei biscotti fossi stato io, mi avrebbero forse inseguito ma non credo che mi avrebbero preso a sprangate per una scatola di biscotti. Invece il ragazzo aveva anche quest'altra colpa: aveva un colore della pelle troppo abbronzato, era un negro, come lo hanno più volte chiamato i due assassini, l'hanno ammazzato. Io sono assolutamente contrario alla pena di morte, ma l'ergastolo in certi casi è sacrosanto. Se non viene dato per queste cose per cosa lo si dà al giorno d'oggi?

Aldo Bianzino, un altro morto di Stato, ucciso da nessuno in carcere, dove era stato portato perchè gli avevano trovato in casa della marijuana.

giovedì 16 luglio 2009

Napolitano

Oggi faccio vilipendio. Perchè non è ammisibile avere un Presidente della Repubblica del genere. Il signor Napolitano ha firmato la porcata sulla sicurezza. Però ha i dubbi, la cariatide. Le ronde non lo convincono più di tanto e poi c'è quel reato di immigrazone clandestina che proprio non gli va giù. Quindi cosa fa un Presidente che si rispetti? Rimanda al mittente la legge? No, lui la promulga e dice a lor signori governanti che sarebbe meglio apportare modifiche. Risposta? PRRRRRRRRRRRRR. Anzi si incacchiano pure dicendo che il Presidente della Repubblica osa interferire. Forse a questi non gliel'ha mai spiegato nessuno che il ruolo del P.d.R. non è quello di firmare scartoffie ad occhi chiusi, ma di essere garante della Costituzione. E' nei suoi poteri e doveri criticare e rifiutarsi di promulgare. Ma questo non conta più. No, perchè tanto questi gerarchi se ne vanno sulle loro televisioni di schiavi a parlare agli altri schiavi ricettori dicendo loro, mentendo spudoratamente, che il P.d.R. sta intralciando l'azione di governo. Mi pare che da quando è al potere questo governo abbia fatto tutto ciò che gli sia passato per l'anticamera del cervello, per giunta a colpi di decreti che di fatto bypassano l'iter parlamentare o di mozioni di fiducia che in pratica costringono gli alleati a votare in blocco o rischiano di far cadere l'esecutivo. No, loro, Berlusconi in primis, si lamentano perchè Napolitano ha respinto la legge, urgentissima e richiestissima dal popolo, sulle intercettazioni. Ha rotto la tregua dice. Già, peccato che il periodo di "tregua" richiesto dal P.d.R. riguardasse il tempo dello svolgimento del G8, che mi pare sia bello che andato, quindi cosa pretende questa gente? Che l'opposizione taccia per sempre, che Napolitano firmi tutto senza emettere suono, che il Parlamento non legiferi più, che la stampa non dica nulla sulle loro malefatte? Beh già succede, quindi cosa vogliono ancora? Ripeto faccio vilipendio, perchè è uno schifo. Essere garante significa anche equilibrio. I signori a governo, non solo la Lega ma tutti quanti, stanno portando il discorso pubblico sempre più verso forme di odio e destabilizzazione, tipici della destra più becera, come mai era accaduto dal '43. E' DOVERE del Presidente della Repubblica Democratica italiana fare qualcosa di più eclatante di ciò che sta facendo. Invece no, lui parla di tregue, di abbassare i toni, di non polemizzare. Mi deve spiegare cosa intende per opposizione questo signore. Per altro parliamo di un 'opposizione già di per sè irrisoria, che non ha strumenti né tantomeno idee. Si dimetta Napolitano, lasci li posto ed il ruolo venga abolito, almeno il popolo cieco si renderà conto di essere sotto una dittatura celata, ma neanche troppo. E' l'unico gesto patriottico che potrebbe fare in questo momento.

martedì 14 luglio 2009

martedì 7 luglio 2009

aldrovandi



In una bella nottata del 2005 succede che questo ragazzo, che si chiamava Federico Aldrovandi, muore. I genitori vengono avvertiti del avvenuto decesso solo 5 ore dopo, dalla polizia. Prima parlano di problemi di droga, poi di un malore. I genitori vengono portati a vedere il figlio e lo trovano come lo vedete nella foto qua sopra. Iniziano una battaglia contro la polizia e le istituzioni, l'opinione pubblica si divide tra quelli che la polizia non si tocca neanche con un fiore, che sostiene che il ragazzo fosse un drogato pericoloso e chi capisce che i quattro eroi si sono fatti prendere la mano. Nel pestaggio vengono rotti due manganelli, che diventa uno se si legge il Giornale, il ragazzo è stato picchiato a sangue. Qualunque altra cosa si possa dire, su chi era o cosa aveva preso quella mattina il ragazzo non ne giustifica la morte. Ieri i quattro poliziotti che non sono ancora stati sospesi dal servizio, ma che anzi sono stati tutti trasferiti poco dopo il fatto, hanno preso 3 anni e sei mesi per eccesso colposo nell'omicidio colposo di Federico. Tre di questi anni saranno indultati, quindi in pratica non succederà loro nulla. La legge italiana non è uguale per tutti, perchè se l'accaduto avesse avuto come protagonisti persone comuni sarebbe andata diversamente. Il problema è che il fatto di essere poliziotti dovrebbe essere un aggravante, invece c'è sempre l'attenuante di servizio. La domanda è: cosa deve fare un agente delle forze dell'ordine per subire una pena che sia equivalente al reato commesso?

Blog della madre di Federico Aldrovandi

lunedì 6 luglio 2009

Blue Berets: Milano

Da un anno e mezzo vigilavano sui milanesi dei Rondò che si facevano chiamare Blue Berets. Oggi il Comune ha deciso di sospendere questi supereroi incompresi perchè si è scoperto grazie ad un'inchiesta di Repubblica, minchia allora il giornalismo serio ancora esiste, che erano leggermente invischiati, non l'avremmo mai pensato, con neofascisti e nazisti. Ne danno il triste annuncio il Corriere della Sera, Affari Italiani, il Giornale. Due piccoli appunti. Notate la differenza tra l'articolo del Corriere e quello del Giornale. Diciamo pure che entrambi sono schierati, ma è proprio il metodo giornalistico che cambia. L'articolo del Corriere così come quello di Repubblica, riporta dei fatti, delle motivazioni e l'intervista al vicesindaco. L'articolo del Giornale più che spiegare i fatti riporta una storiellina che potrebbe essere tranquillamente inventata, portando il lettore a parteggiare per i rondò. Inoltre portano come prova di sicuro antirazzismo il fatto che tra gli stessi rondò militino anche extracomunitari. Beh la storia insegna che coglioni, venduti e ingenui talvolta finiscono con lo schierarsi con il nemico. Ancora una volta complimenti a chi scrive e a chi legge. Appunto numero due. L'articolo di Affari Italiani riporta delle frasi di Matteo Salvini che di mestiere fa il parlamentare della Repubblica Italiana. Vi riporto un video del signorino. Oh mi si dirà che era ad una festa tra amici e che non ci si può appigliare a queste cose. Sarà, ma anche quando mi ubriaco, certe canzoncine sui napoletani non mi viene da cantarle ed io non sono un parlamentare.


sabato 13 giugno 2009

Camicie nere





Sono state presentate a Milano le "Camicie nere", la Guardia Nazionale Italiana, gruppo di volontari promosso dal Movimento Sociale Italiano, ovvero il Partito (post)fascista fondato da Giorgio Almirante. A leggere l'articolo proposto da Peacereporter, affiancheranno le "ronde padane" per le strade ma non precisamente con intenti benevoli nei loro confronti. I nostri eroi se ne andranno in giro vestiti con cinturoni, anfibi e l'immancabile fascio nero sul braccio. Sarà bellissimo. Cammineremo per la strada e vedremo polizia, carabinieri, guardia di finanza, ronde verdi, ronde nere tutti a controllare tutto. Non vi sentite già più sicuri? Qualche mese fa mi chiedevo se la gente si sveglierà in tempo per prevenire almeno le marcie a passo dell'oca, pian piano, anzi velocemente, ci stiamo arrivando. Complimenti Italia.



Non sono nè di destra, nè di sinistra nè di centro. Ho ricostituito l'M.S.I., dopo che il signor Fini l'aveva sciolto. Fenomenale.

giovedì 11 giugno 2009

C'è speranza?

Adoro Grillo come comico. Adoro Grillo come informatore. Adoro Grillo come critico trasversale che non guarda in faccia a nessuno. Lo apprezzo meno quando fa demagogia e qualunquismo, perchè ne fa e parecchio, di entrambe le cose, ma capisco che sia la sua maniera di parlare alla gente e che giocoforza sia anche costretto a farlo. L'unico timore che ho, anche leggendo i commenti sul suo blog, è che diventi un pifferaio da seguire ciecamente ed acriticamente. Non credo lui lo volesse all'inizio ma è chiaro che oggi il suo mestiere è fare il politico. Quello che è riuscito a fare è stato veramente grande, soprattutto se si considera che, a parte forse Di Pietro, ha contro la classe politica italiana in toto e che televisioni, giornali e parte del web di certo non gli fanno pubblicità, anzi lo tartassano. Sono stati eletti una trentina di candidati alle Liste Civiche che hanno però avuto come forte veicolo, gli spettacoli di Grillo e la sua faccia come garanzia. L'obiettivo, io credo, dovrebbe essere quello di fare politica senza bisogno di queste cose, soprattutto la gente deve interessarsi alla propria comunità smettendo di delegare a personaggi autoreferenziati proposti dai Partiti. I Partiti hanno ancora senso se promuovono questo genere di politica, altrimenti, qualsiasi sia lo schieramento, non hanno ragione d'essere anzi, sono controproducenti.
C'è speranza? Non lo so, di sicuro quanto accaduto può avere un'importante valenza politica, tutto, come sempre, è in mano alle persone e alla loro capacità di attivarsi, partecipando, interessandosi e informandosi per poi divulgare.
Vi posto l'intervento di Grillo del 10 Giugno alla Commissione Parlamentare per discutere della Legge d'iniziativa popolare "Parlamento Pulito". Semplicemente grande.

domenica 7 giugno 2009

I have a dream

Tra il dire e il fare c'è grande differenza. Ma anche il dire in un mondo dominato dalle comunicazioni di massa ha un peso enorme, può essere una base di partenza. Io non credo sia verosimile che le Lobby statunitensi rinuncino ai propri interessi nel nome di Obama. Non credo all'improvvisa democratizzazione della politica statunitense perchè è successo tutto in maniera troppo repentina; un cambiamento simile dovrebbe richiedere un lento processo. Credo invece che negli U.S.A. si siano resi conto della incontrastabile crisi economica, ma prima di tutto di immagine nel mondo, del loro paese e che abbiano escogitato l'unica soluzione per mantenere il primato: passare dalla promozione della guerra alla promozione della pace. All'apparenza sembra una grande svolta, in realtà secondo il mio punto di vista, si sono resi conto che dopo l'11 Settembre il loro strapotere egemonico nel mondo è venuto meno, andando via via scemando dopo le fallimentari campagne guerrafondaie in Iraq e Afghanistan. Quindi questi discorsi di pace dovrebbero essere letti come la richiesta di "patta" da parte di chi sta per subire uno scacco matto e ne è ben consapevole.
Nonostante questo quello che Obama ha detto al Cairo potrebbe essere l'inizio di un nuovo corso non tanto per ciò che lui deciderà di fare, quanto per ciò che decideranno di fare tutti coloro i quali quel discorso lo hanno ascoltato e apprezzato. Vi posto l'intero intervento di Obama in inglese, fate un po' di lavoro di traduzione che ne vale la pena. I have a dream....

I am honoured to be in the timeless city of Cairo, and to be hosted by two remarkable institutions. For over 1,000 years, Al-Azhar has stood as a beacon of Islamic learning, and for over a century, Cairo University has been a source of Egypt's advancement. Together, you represent the harmony between tradition and progress. I am grateful for your hospitality, and the hospitality of the people of Egypt. I am also proud to carry with me the goodwill of the American people, and a greeting of peace from Muslim communities in my country: assalaamu alaykum.

"We meet at a time of tension between the United States and Muslims around the world, tension rooted in historical forces that go beyond any current policy debate.

"The relationship between Islam and the West includes centuries of co-existence and co-operation, but also conflict and religious wars. More recently, tension has been fed by colonialism that denied rights and opportunities to many Muslims, and a Cold War in which Muslim-majority countries were too often treated as proxies without regard to their own aspirations. Moreover, the sweeping change brought by modernity and globalisation led many Muslims to view the West as hostile to the traditions of Islam.

Violent extremists have exploited these tensions in a small but potent minority of Muslims. The attacks of September 11th, 2001, and the continued efforts of these extremists to engage in violence against civilians has led some in my country to view

Islam as inevitably hostile not only to America and Western countries, but also to human rights. This has bred more fear and mistrust.


So long as our relationship is defined by our differences, we will empower those who sow hatred rather than peace, and who promote conflict rather than the co-operation that can help all of our people achieve justice and prosperity. This cycle of suspicion and discord must end.

I have come here to seek a new beginning between the United States and Muslims around the world; one based upon mutual interest and mutual respect; and one based upon the truth that America and Islam are not exclusive, and need not be in competition. Instead, they overlap, and share common principles of justice and progress; tolerance and the dignity of all human beings.


I do so recognising that change cannot happen overnight. No single speech can eradicate years of mistrust, nor can I answer in the time that I have all the complex questions that brought us to this point. But I am convinced that in order to move forward, we must say openly the things we hold in our hearts, and that too often are said only behind closed doors. There must be a sustained effort to listen to each other; to learn from each other; to respect one another; and to seek common ground.

As the Holy Quran tells us: "Be conscious of God and speak always the truth." That is what I will try to do, to speak the truth as best I can, humbled by the task before us, and firm in my belief that the interests we share as human beings are far more powerful than the forces that drive us apart.



Part of this conviction is rooted in my own experience. I am a Christian, but my father came from a Kenyan family that includes generations of Muslims. As a boy, I spent several years in Indonesia and heard the call of the azaan at the break of dawn and the fall of dusk. As a young man, I worked in Chicago communities where many found dignity and peace in their Muslim faith.



As a student of history, I also know civilization's debt to Islam. It was Islam at places like Al-Azhar University that carried the light of learning through so many centuries, paving the way for Europe's Renaissance and Enlightenment. It was innovation in Muslim communities that developed the order of algebra; our magnetic compass and tools of navigation; our mastery of pens and printing; our understanding of how disease spreads and how it can be healed.

Islamic culture has given us majestic arches and soaring spires; timeless poetry and cherished music; elegant calligraphy and places of peaceful contemplation. And throughout history, Islam has demonstrated through words and deeds the possibilities of religious tolerance and racial equality.



I know, too, that Islam has always been a part of America's story. The first nation to recognise my country was Morocco. In signing the Treaty of Tripoli in 1796, our second President John Adams wrote: "The United States has in itself no character of enmity against the laws, religion or tranquility of Muslims."

And since our founding, American Muslims have enriched the United States. They have fought in our wars, served in government, stood for civil rights, started businesses, taught at our universities, excelled in our sports arenas, won Nobel Prizes, built our tallest building, and lit the Olympic Torch. And when the first Muslim-American was recently elected to Congress, he took the oath to defend our Constitution using the same Holy Quran that one of our Founding Fathers Thomas Jefferson kept in his personal library.

So I have known Islam on three continents before coming to the region where it was first revealed. That experience guides my conviction that partnership between America and Islam must be based on what Islam is, not what it isn't. And I consider it part of my responsibility as president of the United States to fight against negative stereotypes of Islam wherever they appear.



But that same principle must apply to Muslim perceptions of America. Just as Muslims do not fit a crude stereotype, America is not the crude stereotype of a self-interested empire. The United States has been one of the greatest sources of progress that the world has ever known. We were born out of revolution against an empire. We were founded upon the ideal that all are created equal, and we have shed blood and struggled for centuries to give meaning to those words within our borders, and around the world. We are shaped by every culture, drawn from every end of the Earth, and dedicated to a simple concept: Epluribus unum: "Out of many, one."

Much has been made of the fact that an African-American with the name Barack Hussein Obama could be elected president. But my personal story is not so unique. The dream of opportunity for all people has not come true for everyone in America, but its promise exists for all who come to our shores - that includes nearly seven million American Muslims in our country today who enjoy incomes and education that are higher than average.



Moreover, freedom in America is indivisible from the freedom to practice one's religion. That is why there is a mosque in every state of our union, and over 1,200 mosques within our borders. That is why the US government has gone to court to protect the right of women and girls to wear the hijab, and to punish those who would deny it.

So let there be no doubt: Islam is a part of America. And I believe that America holds within her the truth that regardless of race, religion, or station in life, all of us share common aspirations to live in peace and security; to get an education and to work with dignity; to love our families, our communities, and our God. These things we share. This is the hope of all humanity.



Of course, recognising our common humanity is only the beginning of our task. Words alone cannot meet the needs of our people. These needs will be met only if we act boldly in the years ahead; and if we understand that the challenges we face are shared, and our failure to meet them will hurt us all.



For we have learned from recent experience that when a financial system weakens in one country, prosperity is hurt everywhere. When a new flu infects one human being, all are at risk. When one nation pursues a nuclear weapon, the risk of nuclear attack rises for all nations. When violent extremists operate in one stretch of mountains, people are endangered across an ocean. And when innocents in Bosnia and Darfur are slaughtered, that is a stain on our collective conscience. That is what it means to share this world in the 21st century. That is the responsibility we have to one another as human beings.



This is a difficult responsibility to embrace. For human history has often been a record of nations and tribes subjugating one another to serve their own interests. Yet in this new age, such attitudes are self-defeating. Given our interdependence, any world order that elevates one nation or group of people over another will inevitably fail. So whatever we think of the past, we must not be prisoners of it. Our problems must be dealt with through partnership; progress must be shared.



That does not mean we should ignore sources of tension. Indeed, it suggests the opposite: we must face these tensions squarely. And so in that spirit, let me speak as clearly and plainly as I can about some specific issues that I believe we must finally confront together.

The first issue that we have to confront is violent extremism in all of its forms.

In Ankara, I made clear that America is not and never will be at war with Islam. We will, however, relentlessly confront violent extremists who pose a grave threat to our security.

Because we reject the same thing that people of all faiths reject: the killing of innocent men, women, and children. And it is my first duty as president to protect the American people.

The situation in Afghanistan demonstrates America's goals, and our need to work together. Over seven years ago, the United States pursued al-Qaeda and the Taliban with broad international support. We did not go by choice, we went because of necessity.



I am aware that some question or justify the events of 9/11. But let us be clear: al-Qaeda killed nearly 3,000 people on that day. The victims were innocent men, women and children from America and many other nations who had done nothing to harm anybody. And yet al-Qaeda chose to ruthlessly murder these people, claimed credit for the attack, and even now states their determination to kill on a massive scale. They have affiliates in many countries and are trying to expand their reach. These are not opinions to be debated; these are facts to be dealt with.



Make no mistake: We do not want to keep our troops in Afghanistan. We seek no military bases there. It is agonising for America to lose our young men and women. It is costly and politically difficult to continue this conflict. We would gladly bring every single one of our troops home if we could be confident that there were not violent extremists in Afghanistan and Pakistan determined to kill as many Americans as they possibly can. But that is not yet the case.



That's why we're partnering with a coalition of 46 countries. And despite the costs involved, America's commitment will not weaken. Indeed, none of us should tolerate these extremists. They have killed in many countries. They have killed people of different faiths more than any other, they have killed Muslims. Their actions are irreconcilable with the rights of human beings, the progress of nations, and with Islam.

The Holy Quran teaches that whoever kills an innocent, it is as if he has killed all mankind; and whoever saves a person, it is as if he has saved all mankind. The enduring faith of over a billion people is so much bigger than the narrow hatred of a few. Islam is not part of the problem in combating violent extremism it is an important part of promoting peace. We also know that military power alone is not going to solve the problems in Afghanistan and Pakistan. That is why we plan to invest $1.5 billion each year over the next five years to partner with Pakistanis to build schools and hospitals, roads and businesses, and hundreds of millions to help those who have been displaced. And that is why we are providing more than $2.8 billion to help Afghans develop their economy and deliver services that people depend upon.

Let me also address the issue of Iraq. Unlike Afghanistan, Iraq was a war of choice that provoked strong differences in my country and around the world. Although I believe that the Iraqi people are ultimately better off without the tyranny of Saddam Hussein, I also believe that events in Iraq have reminded America of the need to use diplomacy and build international consensus to resolve our problems whenever possible. Indeed, we can recall the words of Thomas Jefferson, who said: "I hope that our wisdom will grow with our power, and teach us that the less we use our power the greater it will be."



Today, America has a dual responsibility: to help Iraq forge a better future - and to leave Iraq to Iraqis. I have made it clear to the Iraqi people that we pursue no bases, and no claim on their territory or resources. Iraq's sovereignty is its own.



That is why I ordered the removal of our combat brigades by next August. That is why we will honour our agreement with Iraq's democratically elected government to remove combat troops from Iraqi cities by July, and to remove all our troops from Iraq by 2012. We will help Iraq train its security forces and develop its economy. But we will support a secure and united Iraq as a partner, and never as a patron.



And finally, just as America can never tolerate violence by extremists, we must never alter our principles. 9/11 was an enormous trauma to our country. The fear and anger that it provoked was understandable, but in some cases, it led us to act contrary to our ideals. We are taking concrete actions to change course. I have unequivocally prohibited the use of torture by the United States, and I have ordered the prison at Guantanamo Bay closed by early next year.



So America will defend itself respectful of the sovereignty of nations and the rule of law. And we will do so in partnership with Muslim communities which are also threatened. The sooner the extremists are isolated and unwelcome in Muslim communities, the sooner we will all be safer.



The second major source of tension that we need to discuss is the situation between Israelis, Palestinians and the Arab world.



America's strong bonds with Israel are well known. This bond is unbreakable. It is based upon cultural and historical ties, and the recognition that the aspiration for a Jewish homeland is rooted in a tragic history that cannot be denied.

Around the world, the Jewish people were persecuted for centuries, and anti-Semitism in Europe culminated in an unprecedented Holocaust. Tomorrow, I will visit Buchenwald, which was part of a network of camps where Jews were enslaved, tortured, shot and gassed to death by the Third Reich. Six million Jews were killed more than the entire Jewish population of Israel today. Denying that fact is baseless, ignorant, and hateful. Threatening Israel with destruction or repeating vile stereotypes about Jews is deeply wrong, and only serves to evoke in the minds of Israelis this most painful of memories while preventing the peace that the people of this region deserve.



On the other hand, it is also undeniable that the Palestinian people, Muslims and Christians, have suffered in pursuit of a homeland. For more than 60 years they have endured the pain of dislocation. Many wait in refugee camps in the West Bank, Gaza, and neighbouring lands for a life of peace and security that they have never been able to lead. They endure the daily humiliations large and small that come with occupation. So let there be no doubt: the situation for the Palestinian people is intolerable. America will not turn our backs on the legitimate Palestinian aspiration for dignity, opportunity, and a state of their own.



For decades, there has been a stalemate: two peoples with legitimate aspirations, each with a painful history that makes compromise elusive. It is easy to point fingers for Palestinians to point to the displacement brought by Israel's founding, and for Israelis to point to the constant hostility and attacks throughout its history from within its borders as well as beyond. But if we see this conflict only from one side or the other, then we will be blind to the truth: the only resolution is for the aspirations of both sides to be met through two states, where Israelis and Palestinians each live in peace and security.



That is in Israel's interest, Palestine's interest, America's interest, and the world's interest. That is why I intend to personally pursue this outcome with all the patience that the task requires. The obligations that the parties have agreed to under the road map are clear. For peace to come, it is time for them and all of us to live up to our responsibilities.



Palestinians must abandon violence. Resistance through violence and killing is wrong and does not succeed. For centuries, black people in America suffered the lash of the whip as slaves and the humiliation of segregation. But it was not violence that won full and equal rights. It was a peaceful and determined insistence upon the ideals at the centre of America's founding.



This same story can be told by people from South Africa to South Asia; from Eastern Europe to Indonesia. It's a story with a simple truth: that violence is a dead end. It is a sign of neither courage nor power to shoot rockets at sleeping children, or to blow up old women on a bus. That is not how moral authority is claimed; that is how it is surrendered. Now is the time for Palestinians to focus on what they can build. The Palestinian Authority must develop its capacity to govern, with institutions that serve the needs of its people.



Hamas does have support among some Palestinians, but they also have responsibilities. To play a role in fulfilling Palestinian aspirations, and to unify the Palestinian people, Hamas must put an end to violence, recognise past agreements, and recognise Israel's right to exist.



At the same time, Israelis must acknowledge that just as Israel's right to exist cannot be denied, neither can Palestine's. The United States does not accept the legitimacy of continued Israeli settlements. This construction violates previous agreements and undermines efforts to achieve peace. It is time for these settlements to stop.

Israel must also live up to its obligations to ensure that Palestinians can live, and work, and develop their society. And just as it devastates Palestinian families, the continuing humanitarian crisis in Gaza does not serve Israel's security; neither does the continuing lack of opportunity in the West Bank. Progress in the daily lives of the Palestinian people must be part of a road to peace, and Israel must take concrete steps to enable such progress.



Finally, the Arab states must recognise that the Arab Peace Initiative was an important beginning, but not the end of their responsibilities. The Arab-Israeli conflict should no longer be used to distract the people of Arab nations from other problems.

Instead, it must be a cause for action to help the Palestinian people develop the institutions that will sustain their state; to recognise Israel's legitimacy; and to choose progress over a self-defeating focus on the past.



America will align our policies with those who pursue peace, and say in public what we say in private to Israelis and Palestinians and Arabs. We cannot impose peace. But privately, many Muslims recognise that Israel will not go away. Likewise, many Israelis recognise the need for a Palestinian state. It is time for us to act on what everyone knows to be true.

Too many tears have flowed. Too much blood has been shed. All of us have a responsibility to work for the day when the mothers of Israelis and Palestinians can see their children grow up without fear; when the Holy Land of three great faiths is the place of peace that God intended it to be; when Jerusalem is a secure and lasting home for Jews and Christians and Muslims, and a place for all of the children of Abraham to mingle peacefully together as in the story of Isra, when Moses, Jesus, and Muhammad (peace be upon them) joined in prayer.



The third source of tension is our shared interest in the rights and responsibilities of nations on nuclear weapons. This issue has been a source of tension between the United States and the Islamic Republic of Iran. For many years, Iran has defined itself in part by its opposition to my country, and there is indeed a tumultuous history between us. In the middle of the Cold War, the United States played a role in the overthrow of a democratically elected Iranian government. Since the Islamic Revolution, Iran has played a role in acts of hostage-taking and violence against US troops and civilians.



This history is well known. Rather than remain trapped in the past, I have made it clear to Iran's leaders and people that my country is prepared to move forward. The question, now, is not what Iran is against, but rather what future it wants to build.

It will be hard to overcome decades of mistrust, but we will proceed with courage, rectitude and resolve. There will be many issues to discuss between our two countries, and we are willing to move forward without preconditions on the basis of mutual respect. But it is clear to all concerned that when it comes to nuclear weapons, we have reached a decisive point. This is not simply about America's interests. It is about preventing a nuclear arms race in the Middle East that could lead this region and the world down a hugely dangerous path.



I understand those who protest that some countries have weapons that others do not. No single nation should pick and choose which nations hold nuclear weapons. That is why I strongly reaffirmed America's commitment to seek a world in which no nations hold nuclear weapons. And any nation - including Iran - should have the right to access peaceful nuclear power if it complies with its responsibilities under the nuclear Non-Proliferation Treaty. That commitment is at the core of the treaty, and it must be kept for all who fully abide by it. And I am hopeful that all countries in the region can share in this goal.



The fourth issue that I will address is democracy. I know there has been controversy about the promotion of democracy in recent years, and much of this controversy is connected to the war in Iraq. So let me be clear: no system of government can or should be imposed upon one nation by any other.



That does not lessen my commitment, however, to governments that reflect the will of the people. Each nation gives life to this principle in its own way, grounded in the traditions of its own people. America does not presume to know what is best for everyone, just as we would not presume to pick the outcome of a peaceful election. But I do have an unyielding belief that all people yearn for certain things: the ability to speak your mind and have a say in how you are governed; confidence in the rule of law and the equal administration of justice; government that is transparent and doesn't steal from the people; the freedom to live as you choose. Those are not just American ideas, they are human rights, and that is why we will support them everywhere.



There is no straight line to realise this promise. But this much is clear: governments that protect these rights are ultimately more stable, successful and secure. Suppressing ideas never succeeds in making them go away. America respects the right of all peaceful and law-abiding voices to be heard around the world, even if we disagree with them. And we will welcome all elected, peaceful governments provided they govern with respect for all their people.



This last point is important because there are some who advocate for democracy only when they are out of power; once in power, they are ruthless in suppressing the rights of others. No matter where it takes hold, government of the people and by the people sets a single standard for all who hold power: you must maintain your power through consent, not coercion; you must respect the rights of minorities, and participate with a spirit of tolerance and compromise; you must place the interests of your people and the legitimate workings of the political process above your party. Without these ingredients, elections alone do not make true democracy.



The fifth issue that we must address together is religious freedom.



Islam has a proud tradition of tolerance. We see it in the history of Andalusia and Cordoba during the Inquisition. I saw it firsthand as a child in Indonesia, where devout Christians worshipped freely in an overwhelmingly Muslim country. That is the spirit we need today.



People in every country should be free to choose and live their faith based upon the persuasion of the mind, heart, and soul. This tolerance is essential for religion to thrive, but it is being challenged in many different ways.



Among some Muslims, there is a disturbing tendency to measure one's own faith by the rejection of another's. The richness of religious diversity must be upheld whether it is for Maronites in Lebanon or the Copts in Egypt. And faultlines must be closed among Muslims as well, as the divisions between Sunni and Shia have led to tragic violence, particularly in Iraq.



Freedom of religion is central to the ability of peoples to live together. We must always examine the ways in which we protect it. For instance, in the United States, rules on charitable giving have made it harder for Muslims to fulfil their religious obligation. That is why I am committed to working with American Muslims to ensure that they can fulfil zakat.



Likewise, it is important for Western countries to avoid impeding Muslim citizens from practicing religion as they see fit for instance, by dictating what clothes a Muslim woman should wear. We cannot disguise hostility towards any religion behind the pretence of liberalism. Indeed, faith should bring us together. That is why we are forging service projects in America that bring together Christians, Muslims, and Jews. That is why we welcome efforts like Saudi Arabian King Abdullah's interfaith dialogue and Turkey's leadership in the Alliance of Civilisations. Around the world, we can turn dialogue into interfaith service, so bridges between peoples lead to action whether it is combating malaria in Africa, or providing relief after a natural disaster.



The sixth issue that I want to address is women's rights. I know there is debate about this issue. I reject the view of some in the West that a woman who chooses to cover her hair is somehow less equal, but I do believe that a woman who is denied an education is denied equality. And it is no coincidence that countries where women are well-educated are far more likely to be prosperous.



Now let me be clear: issues of women's equality are by no means simply an issue for Islam. In Turkey, Pakistan, Bangladesh and Indonesia, we have seen Muslim-majority countries elect a woman to lead. Meanwhile, the struggle for women's equality continues in many aspects of American life, and in countries around the world.



Our daughters can contribute just as much to society as our sons, and our common prosperity will be advanced by allowing all humanity, men and women, to reach their full potential. I do not believe that women must make the same choices as men in order to be equal, and I respect those women who choose to live their lives in traditional roles. But it should be their choice. That is why the United States will partner with any Muslim-majority country to support expanded literacy for girls, and to help young women pursue employment through micro-financing that helps people live their dreams.



Finally, I want to discuss economic development and opportunity. I know that for many, the face of globalisation is contradictory. The internet and television can bring knowledge and information, but also offensive sexuality and mindless violence. Trade can bring new wealth and opportunities, but also huge disruptions and changing communities. In all nations, including my own, this change can bring fear. Fear that because of modernity we will lose control over our economic choices, our politics, and most importantly our identities - those things we most cherish about our communities, our families, our traditions, and our faith.



But I also know that human progress cannot be denied. There need not be contradiction between development and tradition. Countries like Japan and South Korea grew their economies while maintaining distinct cultures. The same is true for the astonishing progress within Muslim-majority countries from Kuala Lumpur to Dubai. In ancient times and in our times, Muslim communities have been at the forefront of innovation and education.



This is important because no development strategy can be based only upon what comes out of the ground, nor can it be sustained while young people are out of work. Many Gulf states have enjoyed great wealth as a consequence of oil, and some are beginning to focus it on broader development. But all of us must recognise that education and innovation will be the currency of the 21st century, and in too many Muslim communities there remains under-investment in these areas. I am emphasising such investments within my country. And while America in the past has focused on oil and gas in this part of the world, we now seek a broader engagement.



On education, we will expand exchange programmes, and increase scholarships, like the one that brought my father to America, while encouraging more Americans to study in Muslim communities. And we will match promising Muslim students with internships in America; invest in online learning for teachers and children around the world; and create a new online network, so a teenager in Kansas can communicate instantly with a teenager in Cairo. On economic development, we will create a new corps of business volunteers to partner with counterparts in Muslim-majority countries. And I will host a Summit on Entrepreneurship this year to identify how we can deepen ties between business leaders, foundations and social entrepreneurs in the United States and Muslim communities around the world.



On science and technology, we will launch a new fund to support technological development in Muslim-majority countries, and to help transfer ideas to the marketplace so they can create jobs. We will open centres of scientific excellence in Africa, the Middle East and Southeast Asia, and appoint new Science Envoys to collaborate on programmes that develop new sources of energy, create green jobs, digitise records, clean water, and grow new crops. And today I am announcing a new global effort with the Organisation of the Islamic Conference to eradicate polio. And we will also expand partnerships with Muslim communities to promote child and maternal health.



All these things must be done in partnership. Americans are ready to join with citizens and governments; community organisations, religious leaders, and businesses in Muslim communities around the world to help our people pursue a better life.



The issues that I have described will not be easy to address. But we have a responsibility to join together on behalf of the world we seek - a world where extremists no longer threaten our people, and American troops have come home; a world where Israelis and Palestinians are each secure in a state of their own, and nuclear energy is used for peaceful purposes; a world where governments serve their citizens, and the rights of all God's children are respected. Those are mutual interests.



That is the world we seek. But we can only achieve it together. I know there are many, Muslim and non-Muslim, who question whether we can forge this new beginning. Some are eager to stoke the flames of division, and to stand in the way of progress. Some suggest that it isn't worth the effort that we are fated to disagree, and civilisations are doomed to clash. Many more are simply sceptical that real change can occur. There is so much fear, so much mistrust. But if we choose to be bound by the past, we will never move forward. And I want to particularly say this to young people of every faith, in every country, you, more than anyone, have the ability to remake this world. All of us share this world for but a brief moment in time.



The question is whether we spend that time focused on what pushes us apart, or whether we commit ourselves to an effort, a sustained effort, to find common ground, to focus on the future we seek for our children, and to respect the dignity of all human beings.



It is easier to start wars than to end them. It is easier to blame others than to look inward; to see what is different about someone than to find the things we share. But we should choose the right path, not just the easy path. There is also one rule that lies at the heart of every religion that we do unto others as we would have them do unto us. This truth transcends nations and peoples a belief that isn't new; that isn't black or white or brown; that isn't Christian, or Muslim or Jew. It's a belief that pulsed in the cradle of civilisation, and that still beats in the heart of billions. It's a faith in other people, and it's what brought me here today.



We have the power to make the world we seek, but only if we have the courage to make a new beginning, keeping in mind what has been written.



The Holy Quran tells us, "O mankind! We have created you male and a female; and we have made you into nations and tribes so that you may know one another." The Talmud tells us: "The whole of the Torah is for the purpose of promoting peace."

The Holy Bible tells us, "Blessed are the peacemakers, for they shall be called sons of God." The people of the world can live together in peace. We know that is God's vision. Now, that must be our work here on Earth.



Thank you and may God's peace be upon you.